Se non fossi un Pescatore dal 1978 e non avessi vissuto gli avvenimenti e le trasformazioni che si sono succedute da allora nel mondo della Pesca, potrei anche essere indotto a credere che la pratica del no kill possa essere la soluzione ai problemi relativi al rispetto e alla salvaguardia della fauna ittica. Potrei essere indotto a crederlo, sulla spinta emotiva diffusa inizialmente attraverso articoli di riviste e libri di Pesca e, successivamente, divenuta una vera e propria forma di pressione esercitata specialmente nelle discussioni sui forum specializzati.
Quel che prima veniva proposto come un invito adesso è calato come un dogma a cui è divenuto sconveniente non aderire, pena l’essere etichettato come antisportivo, retrogrado, distruttore e, per finire, addirittura come un Pescatore che si mangia alcuni dei pesci catturati, sottraendoli agli altri Pescatori e al loro “presunto diritto” di pescarli, rilasciarli, pescarli, rilasciarli, pescarli, rilasciarli, pescarli, rilasciarli…….. Come non fosse una cosa normale andare per fiumi, torrenti, o laghi, trascorrere una giornata a contatto con la natura e al termine trattenere uno o più pesci (nel rispetto delle regole vigenti), da mangiare in famiglia o insieme agli amici.
Come fanno regolarmente gli appassionati che si dedicano alla Pesca in ambiente marino, insidiando spigole, orate, dentici, saraghi ecc, dove il no kill è molto meno praticato che in acqua dolce, visto che il pesce di mare è più pregiato e notevolmente più saporito. O come accade alle persone che amano frequentare i boschi alla ricerca di funghi, tartufi o castagne, o a coloro che puntano asparagi, more o cicoria di campo, e che si mangiano in allegria i frutti delle loro ricerche appassionate senza che nessuno abbia a criticarli così aspramente.
La pratica del no kill si è diffusa in Italia e non è più esclusivo appannaggio della Pesca a mosca o dello Spinning come avveniva all’inizio, tuttavia è bene ricordare che ancora oggi i Pescatori che la adottano, indipendentemente dalla tecnica utilizzata, sono una esigua minoranza rispetto al loro insieme. Una minoranza che, leggendo i commenti frequentemente rilasciati da diversi fautori del no kill, si ritiene moralmente ed eticamente superiore alla maggioranza dei propri colleghi in virtù del fatto di rilasciare tutti i pesci catturati. I fautori del no kill sostengono che il futuro della Pesca sia legato all’adozione da parte di tutti i Pescatori di questa pratica, e ritengono che i pesci continuamente catturati e rilasciati non subiscano traumi che ne compromettano la sopravvivenza, né la capacità di riprodursi.
Oggi è possibile accedere ai risultati di numerosi studi ed esperimenti eseguiti in tal senso, e scoprire che rilasciare un pesce catturato con l’amo implica comunque un fattore di rischio non trascurabile. La percentuale di mortalità, ma sarebbe più opportuno e corretto parlare di percentuale di sopravvivenza, varia in base a diversi fattori. Ma non è mai uguale a 0, come vorrebbero far credere i Pescatori favorevoli al no kill integrale.
Senza entrare nel merito delle percentuali di sopravvivenza (almeno in questa sede), è necessario sottolineare che i danni maggiori sono procurati dalle ferite inferte dall’amo, l’elemento più lesivo della nostra attrezzatura, che buca il pesce nell’apparato boccale ed è disegnato per trattenerlo evitando il distacco dall’uncino.
Gli ami tradizionali sono provvisti di ardiglione per contrastare il possibile sganciamento della preda, mentre quelli barbless (concepiti per la pesca no kill) per raggiungere lo stesso scopo hanno la punta più lunga, sottile e penetrante e la curva e il gambo anch’essi più lunghi. Questi ultimi sono perciò oltremodo lesivi, in quanto infliggono ferite più profonde e rappresentano una contraddizione evidente perché se da un lato si rinuncia all’ardiglione, dall’altro si cerca di compensare i possibili sganciamenti allungando il gambo, la curva e la punta. Forse sarebbe stato meglio lasciare l’ardiglione. Le ferite possono essere più o meno gravi e incidono in modo significativo sulle percentuali di sopravvivenza dell’animale, inoltre esistono altri fattori esterni in grado di concorrere ad abbassare ulteriormente tali percentuali, considerando che un organismo indebolito risulta più vulnerabile ad ogni ulteriore minaccia.
I Pescatori che si pongono l’obiettivo di catturare dei pesci e, nel rispetto dei regolamenti e dei limiti, trattenerne uno o più per mangiarseli a casa, utilizzano a ragion veduta lo strumento inventato nella preistoria della Pesca, ossia l’amo, per agganciare e trattenere. L’amo è sempre lesivo, sia per i pesci piccoli che per i grandi, pertanto tutti i Pescatori dovrebbero evitare di catturare intenzionalmente prede di taglia inferiore a quella minima prevista. Che senso ha infilzare e trattenere una piccola trota o un piccolo temolo, che poi dovrà essere manipolato e slamato, infliggendogli ferite del tutto gratuite, con il rischio di ucciderli per lo shock da allamatura o per le conseguenze della cattura?
Risulta pertanto inappropriato il termine “no kill” per indicare una modalità di pesca che prevede l’aggancio del pesce in modo tradizionale, ovvero tramite l’amo, che produce ferite sempre pericolose e talvolta letali. Dunque delle due l’una: o si cambia la denominazione oppure si lascia intatto il solo gambo sul quale costruire l’imitazione, tagliando via preventivamente non l’ardiglione, ma tutta la punta di tutte le esche contenute in tutte le scatole di tutti i Pescatori che si dichiarano fautori del no kill integrale. Non si capisce infatti il motivo per il quale, un Pescatore che decide di non uccidere (e dunque di non trattenere) alcun pesce di qualunque taglia, utilizzi l’amo integro che ha come unico scopo il trattenere la preda. Un controsenso ingiustificato e ingiustificabile.
Ricapitolando, tra gli appassionati della canna da Pesca vi sono quelli che si comportano da Pescatori e vanno sul fiume per catturare e trattenere i pesci consentiti dai regolamenti, e poi, seppur in numero assai inferiore, coloro che non si comportano da Pescatori ma soltanto da “catturatori” e non avendo un obiettivo concreto da perseguire non saranno mai pienamente soddisfatti, risultando molto più facilmente affetti da compulsività nel bucare pesci.
Prendiamo un leopardo, o un altro predatore, e osserviamone il comportamento. Si mette in caccia cercando la preda migliore, tra quelle che riesce a scovare, e una volta catturata la uccide e smette di cacciare portandosela in un luogo sicuro dove custodirla o divorarla. Il suo atteggiamento iniziale cambia drasticamente. Inizialmente si muove furtivo e pronto a scagliare sulla vittima tutta la forza e l’aggressività che possiede. In seguito, a cattura avvenuta, sopraggiunge un calo di tensione, un rilassamento sia fisico che emotivo e l’atteggiamento del predatore verso la preda muta completamente.
Effettivamente un Pescatore coerente si comporta, più o meno, come un animale predatore. Inizia a pescare avendo come obiettivo non la cattura di tutti i pesci del fiume, ma soltanto di alcuni e di una misura per cui è consentito il trattenimento. Come il leopardo, anch’egli seleziona l’esemplare migliore e quando fa suo un pesce importante smette di pescare e si occupa della preda, che viene uccisa, ripulita e custodita, prima di riprendere eventualmente la pesca.
Eventualmente, poiché talvolta riuscire a portare a riva una trota di taglia pescata con perizia produce l’effetto di soddisfare pienamente il Pescatore, che avverte la necessità di celebrare interamente il cerimoniale iniziato con l’insidia al suo pesce e che non si è concluso con la cattura. Un Pescatore coerente celebra l’evento proprio come farebbe un leopardo con un’antilope o un orso con un salmone. Perché nella Pesca, come nella Caccia, c’è un tempo per ogni cosa. Egli trae spunto e insegnamento dalla saggezza degli animali, che gli uomini raramente raggiungono e quasi mai sfruttano.
Dopo una cattura importante un autentico Pescatore sente dentro di se il caos emotivo, che produce in lui un’alterazione del respiro, dei battiti cardiaci e del suo normale autocontrollo. Può desiderare allora di sedersi su un vecchio tronco per lasciare che l’adrenalina accumulata si attenui. Ci vuole tempo, come per ogni cosa. Trascorso questo tempo sarà perfettamente in grado di realizzare se continuare a pescare oppure no. Ma si tratta comunque di un dettaglio in confronto alle sensazioni che lo hanno attraversato e che ha lasciato depositare nel suo animo. Potrà tornarsene a casa o restare sul fiume fino a buio, ma quello che cercava è già in suo possesso, è stato raggiunto, metabolizzato.
Non tutti i Pescatori posseggono un animo in grado di indurre la sublimazione al proprio subconscio. Per i meno fortunati, in riferimento a questo ultimo aspetto, l’effetto magico del confronto con il pesce non rimane impresso a sufficienza e prevale in costoro il desiderio interiore di replicare ogni cattura con un’altra cattura, innescando il circolo vizioso di cui sopra. Chi ne viene contagiato cessa di essere un Pescatore per assurgere al ruolo di “catturatore”, una figura estranea alla Pesca come fin qui intesa e che va sul fiume principalmente per infilzare un pesce dopo l’altro e soddisfare il proprio ego.
Il no kill è servito a capire che un pesce catturato con l’amo e successivamente rilasciato, può sopravvivere. Il concetto ci doveva servire a intraprendere una via della Pesca più corretta e sostenibile, invece lo abbiamo manipolato e fatto divenire un metodo di gestione discutibile e fuorviante. Un modello di Pesca sostenibile al giorno d’oggi dovrebbe concedere sempre meno alla bramosia dei Pescatori e più nulla all’alterigia dei “catturatori”.
Bisogna frequentare molto fiumi, laghi e torrenti, imparare a pescare meno e sempre più a ragion veduta, selezionando le prede e bucando meno pesci possibile, anche e soprattutto quelli che andranno in ogni caso liberati. Il guadino deve essere impiegato per accorciare i tempi del recupero ed evitare di toccare il pesce con le mani, non per fare meglio e più a lungo le foto e le riprese video. In acqua non si dovrebbe entrare mai e imponendo la Pesca a piede asciutto ovunque, si aiuterebbero moltissimo i nostri ambienti fluviali a rifiatare e si costringerebbero i Pescatori di oggi a confrontarsi con i medesimi limiti naturali ben conosciuti e accettati dai Pescatori di un tempo. Diventeremmo tutti, in breve tempo, più attenti, capaci e sensibili e orienteremmo il mercato del settore Pesca in maniera più opportuna e conservativa.
La consuetudine, sempre più diffusa, di rilasciare parte del pescato deve essere considerata senza dubbio un passo in avanti. La concezione del no kill integrale invece, ha generato più problemi di quanti non ne abbia risolti, ed è facile da dimostrare. Un Pescatore dilettante che trattiene pesci e se li mangia, in famiglia o con gli amici, esercita il suo ruolo e contribuisce a mantenere legittima la pratica della Pesca sportiva.
Va a pescare per catturare, seleziona i pesci in base alla misura trascurando i piccoli e puntando al grande. Non va sul fiume per bucare dalla mattina alla sera, fotografare tutti i pesci e inviarne le immagini e i commenti in tempo reale su facebook. Va per cercare la sua trota, magari la più grossa, e quando la cattura si gode l’evento, il meritato premio e sente ridursi le proprie ulteriori pretese o addirittura smette di pescare perché non è agevole continuare a muoversi lungo le sponde di un fiume o tra le rive scoscese di un torrente, portandosi dietro una trota di 1 o 2 kg custodita in un cestino di grandi dimensioni o nella traboccante cacciatora del gilet.
La cattura significativa, importante, da un senso a tutta la giornata anche quando avviene molto presto e questo fatto è una benedizione per l’ambiente. Si può smettere con serenità e inserire quella data tra i ricordi più belli e preziosi. Si può tornare a casa in anticipo e riabbracciare anzitempo i propri affetti famigliari, oppure dedicarsi a qualche impegno casalingo sempre rimandato, o magari approfittare per andare a trovare un amico non troppo lontano per ricongiungersi con lui, mostrargli felice il proprio trofeo e condividere l’evento davanti a un paio di bicchieri di quello buono. La cattura da trattenere è un perno fondamentale per la Pesca e se venisse a mancare si creerebbe un problema di opportunità, tale da mettere in seria crisi la legittimità della Pesca stessa.
Chi va a pescare escludendo a priori la possibilità di trattenere un pesce, non è un asceta, né un etologo, e nemmeno un Pescatore ecologico. Tutt’altro! E’ un tizio che va a pescare principalmente (quando non esclusivamente) per agganciare pesci, un catturatore. Non portando via nulla, non sarà mai soddisfatto e cercherà ogni volta di catturare un pesce in più rispetto al suo precedente record, per autoaffermazione e per “rientrare” della spesa sostenuta per il permesso di Pesca e per il viaggio.
I catturatori non ottengono mai il loro premio, non tornano mai a casa in anticipo, a meno di eventi imprevisti come l’apertura di una diga a monte che determina condizioni di impescabilità a valle, bucano pesci a decine e contribuiscono ad ucciderne molti di più rispetto ai Pescatori che, inoltre, i pesci uccisi se li mangiano. Nell’attività alieutica dilettantistica non hanno alcun ruolo, poiché il loro scopo è in antitesi con la Pesca. Non contribuiscono a salvaguardare la legittimità della Pesca, poiché la collettività dei “non addetti ai lavori” accetta e rispetta la figura del Pescatore, ma non riconosce e non accetterà mai quella del catturatore, che per divertirsi passa il suo tempo libero a bucare pesci con l’amo e a manipolarli a suo piacimento.
Oggi dobbiamo avere il coraggio di domandarci se sussiste ancora l’opportunità di andare a pescare, e la dignità di formulare risposte convincenti. Per fare questo è necessario mettere da parte i propri interessi ed egoismi. Se un fiume, o alcuni suoi tratti, non sono più biologicamente in grado di mantenere un congruo numero di pesci, non è accettabile richiedere un ripopolamento artificiale per salvaguardare il nostro presunto diritto di andare a pescare. Un fiume, o un tratto di fiume sterile, va chiuso e protetto finchè non sarà nuovamente in grado di produrre e sostentare un’adeguata e variegata popolazione ittica, in tutte le classi di età. Questo qualora si volesse provare a garantire un futuro alla Pesca.
Quando io iniziai a pescare correva l’anno 1978, la Pesca in acque interne poteva avvenire solo dietro autorizzazione governativa ed esistevano due libretti, uno verde e l’altro blu. Il primo (Licenza di Categoria A) era riservato ai pescatori d’acqua dolce di professione che, tramite l’utilizzo di selezionate attrezzature, svolgevano un’attività di Pesca commerciale per il proprio sostentamento economico. Il secondo (Licenza di Categoria B) veniva concesso ai Pescatori dilettanti che esercitavano il loro diritto di pescare e mangiare i pesci catturati, nel rispetto di regolamenti e divieti.
Oggi nella nostra società molte cose sono cambiate, ma i principi di legittimità di praticare la Pesca non sono mutati e resto profondamente convinto che si possa continuare a frequentare torrenti, fiumi e laghi, soltanto prevedendo il vincolo dello scopo alimentare per la Pesca dilettantistica, e quello commerciale per quella di professione. L’eventuale introduzione del principio del mero divertimento, fortemente sponsorizzato dai catturatori, rappresenterebbe un pericoloso precedente e, a mio avviso, l’inizio della fine della Pesca e non solo di quella.
Significherebbe oltrepassare i limiti della decenza, dell’etica e della giusta interazione tra noi e l’ambiente, l’ecologia. Secondo questo “nuovo principio”, il diritto al mero divertimento dovrebbe essere esteso a chiunque. Anche a chi un domani volesse dedicarsi , e divulgare, alla pratica del no kill sui merli o sui gabbiani, sugli scoiattoli o sulle lucertole. Se ciò avvenisse davvero, come potremo impedirlo?
Mauro Nini