Segnaliamo volentieri questo bell’articolo del dottor Vincenzo Penteriani (laureato in scienze naturali all’Università di Roma si è specializzato in Zoologia dei vertebrati. Ha conseguito un PhD presso l’Università di Borgogna in Ecologia e Dinamica delle popolazioni. Oggi lavora in Spagna come ricercatore presso la ESTACIÓN BIOLÓGICA DE DOÑANA, Consejo Superior de Investigaciones Científicas. Potete seguire Vincenzo sul suo sito internet personale www. vincenzopenteriani.org nel quale troverete diverse pubblicazioni su importanti riviste di pesca a mosca), che analizza nel dettaglio un argomento sicuramente interessante e altrettanto sconosciuto, nello stretto contesto del mondo della pesca con la mosca. Il che già di per sè non è poco, perchè spesso quando si pensa di aver imparato tutto…s’ha tutto da imparare. Nella mia relativamente breve (in senso alieutico) esistenza terrena, anzi liquida, ho imparato a malapena a guardare di malocchio alcune “produzioni ittiche” che non tengono conto delle naturali condizioni ambientali nel quale andranno a vivere e a riprodursi: alcune macchie troppo evidenti, troppo colorate, che anzichè adottare sapiente mimetismo finiscono per ottenere l’effetto contrario, attirando l’attenzione di tutti i potenziali predatori volatili. Begli esemplari, ma fuori luogo e fuori contesto, a mio avviso. Sappiamo altresì (siamo tutti figli di Quark in Italia, in qualche modo) che gli animali della savana africana – nessuno escluso – utilizzano le proprie macchie, strisce, luci e ombre per nascondersi nella natura e sfruttare il momento più opportuno per attaccare o fuggire. Eppure prima del dottor Penteriani nessuno aveva pensato di applicare le stesse regole di base ai nostri beneamati timallidi. Perchè i ghepardi sì e i temoli no? Ebbene, di seguito un’analisi interessantissima sul ruolo e la funzione di quelle macchie nere laterali che tutti noi, chi può chi meno, abbiamo accarezzato con soddisfazione nel corso della nostra carriera sportiva.
Dunque, buona lettura.
Vanni Marchioni