capitolo secondo
FUNZIONE ECOLOGICA DELLA VEGETAZIONE RIPARIALE
E POSSIBILI EFFETTI SULLA FAUNA ITTICA
Un fondamentale elemento dell’ecosistema fluviale è la vegetazione ripariale, ovvero quella fascia di vegetazione che si trova (o dovrebbe trovarsi) ai margini di un corso d’acqua, pur non costituendo ambiente bagnato. In natura la vegetazione tende a formare fasce parallele al corso d’acqua stesso (buffer strips), che generalmente assumono un portamento arboreo continuo e compatto, ma che a seconda delle condizioni del suolo (esposizione, geomorfologia, ecc.) possono ridursi drasticamente fino al limite, raro, costituito da terreno quasi nudo. Può avvenire, ad esempio, in prossimità di letti rocciosi compatti.
Il ruolo ecologico della vegetazione ripariale è importantissimo e convenzionalmente – in materia di ecologia fluviale – assolve a sei funzioni principali, di seguito brevemente schematizzate (da Sebastian Schweizer, nel 2009)
Elencate schematicamente le sei funzioni, si evince che tutto il flusso di energia e di sostanze che arriva al fiume viene in qualche modo “filtrato” e trasformato dalle buffer strips (si pensi al ruolo di depurazione degli inquinanti, al trattenimento di particelle fini di terra e altri materiali che renderebbero i fiume sempre torbidi, oppure alla decantazione di sostanze organiche di origine vegetale e animale). In conclusione un fiume – e conseguentemente la fauna ittica che lo abita – deve il suo aspetto anche alla vegetazione che lo contorna e che ne determina, in qualche misura, l’interazione tra l’ambiente asciutto e quello bagnato.
Che cosa c’entra tutto questo con i pesci e con la pesca? Se da un lato la vegetazione ripariale impone al pescatore con la mosca di utilizzare tutta la sua abilità per lanciare perfettamente in presenza di ostacoli, rendendo quindi ancora più affascinante e perfetto il proprio gesto tecnico, si deve anche pensare che è proprio nel posto più scomodo, irraggiungibile e coperto dalle fronde che l’habitat per la fauna acquatica tende a essere migliore. Naturalmente si parla di zone di vegetazione sia sommerse che emerse.
Dalle fronde emerse, infatti, arriva l’ombra che – soprattutto durante il periodo estivo – evita il surriscaldamento dell’acqua, rendendo migliore l’ambiente ove stabulare. Inoltre dai rami possono cadere insetti, frammenti vegetali, escrementi di uccelli. In presenza quindi di vegetazione vi è un apporto trofico ed energetico praticamente continuo. La catena alimentare, al vertice della quale sono posti i pesci predatori che fanno al caso nostro, è costantemente sollecitata.
Per quanto riguarda la vegetazione sommersa, si pensi al groviglio di radici, tane, anfratti e zone di rifugio tra tronchi caduti; queste strutture legnose sono i “condomini” ove i pesci, di ogni specie e taglia, trovano le condizioni migliori possibili per la loro vita…molto meglio che stare in mezzo all’alveo, dove la corrente tira troppo, impone un elevato dispendio energetico e dove è molto più difficile trovare rifugio.
Figura 3. Un barbo rifugiato sotto le frasche di pioppo (foto Pini Prato, fiume Magra, Toscana)
Guardando un torrente è molto probabile che il posto più scomodo (per il pescatore!), individuato in mezzo a frasche e rovi, sia proprio quello dove il pesce sta in riposo o meglio ancora in agguato; vale quindi la pena rischiare una mosca per tentare un approccio alieutico sotto le fronde…probabilmente è li che, nel tardo pomeriggio di una giornata estiva, un piccolo o grande predatore aspetta di bollare su un qualche insetto che casca da un ramo. Altrettanto si consideri che le rive ben “pelate” dalla forsennata gestione degli Enti addetti (Province, Comunità Montane e Consorzi di Bonifica) hanno un effetto deleterio e devastante sull’habitat fluviale, rendendo inospitali per la fauna (non solo per i pesci) vari chilometri di sponde governate con la pratica del taglio a raso. Questo è particolarmente evidente nella stagione calda, ove il surriscaldamento dovuto alla mancanza di ombreggiamento comporta un’eccessiva crescita algale, stagnazione delle acque e di conseguenza genera un ambiente inospitale per i pesci.
Figura 1. Esempio di corso d’acqua con fasce ripariali naturali, non gestite dall’uomo
(foto Pini Prato, fiume Tavignano, Corsica)
Figura 2. Esempio di corso d’acqua soggetto a ”gestione” delle sponde con la pratica dei tagli vegetazionali
(foto Pini Prato fiume Sieve, Toscana)
Concludiamo la riflessione scientifica evidenziando come una buona pratica per intraprendere l’azione di pesca non dovrebbe esimersi dal preferire un ambiente con qualche forma di vegetazione, garanzia di vita per il pesce…piuttosto che una sponda “comoda”, ben tenuta a raso in nome della sicurezza idraulica.
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ENRICO PINI PRATO
Dottore di Ricerca in Ingegneria Agraria e Forestale, si occupa di tematiche ambientali con particolare riferimento ai problemi ecologici inerenti i corsi d’acqua, le sistemazioni idrauliche e la riqualificazione fluviale, l’inquinamento e la qualità delle acque, l’ittiofauna, la gestione e della pesca sportiva e le attività didattico-ricreative. Interessato alla sistemazione e difesa del territorio, alla gestione dell’ambiente, e soprattutto alla valorizzazione dell’uso multiplo della “risorsa fiume”. Titolare, assieme al dottor Sebastian Schweizer, dello studio di ecologia fluviale e informazione geografica http://www.aquaterra.it/