Corsi TLT Academy sul fiume Nera (Umbria)
il 26/28 settembre 2014
I Corsi TLT: la “Mosca” come non l’avete mai vista, come non vi è mai stata illustrata.
Il fiume Nera
Lasciai l’asfalto bollente e scesi per una scarpata irta di ruvidi cespugli. Davanti a me un ristretto prato. Poi il Nera. Ho sempre avuto una forte attrazione per questo fiume. Non solo per la sua bellezza, specie la parte a monte, la mia preferita, o per le sue difficoltà tecniche. Ma prima ancora perché non sei circondato dalle mille orribili case che hanno sostituito le poche e belle di un tempo come è successo a ridosso di troppi fiumi di questo sgangherato paese.
Nel Nera è come essere fuori dal mondo. Hai la vegetazione intorno, sopra, sul fondo. Pare messa li apposta per farti sognare, per illuderti che intorno, il cosiddetto mondo civile, quello che distrugge l’animo per far posto alla pancia, che tramuta i fiori in rovi, i cuori in pietre, è improvvisamente scomparso e con lui il “cuore di tenebra” di troppi uomini. Per qualche ora sogni come il più ingenuo e tenero dei fanciulli, e mai sogno fu al tempo stesso tanto benefico quanto crudele. E poi l’acqua: acqua che ti preme avvolgendoti in un abbraccio come la più appassionata delle amanti. La senti che ti cinge, ti ruota attorno, si ritira, ritorna, ti avviluppa sempre più languidamente come se miriadi di minuscole e flessuose mani ti volessero plasmare in una forma ignota secondo l’arcano disegno di un misterioso artefice. Come se volesse plasmare l’uomo a sua immagine. Amo pescare con l’acqua che mi circonda i fianchi, sentire la sua pressione addosso, il suono del suo gorgoglio che cambia con il variare della velocità della corrente, il cupo fragore di un gorgo. E quando la corrente è violenta al punto da portarti via da sotto gli stivali le pietruzze del fondo, l’acqua diventa improvvisamente ostile come un’amante tradita. Pare avere mille unghie che ti vogliono trascinare verso il cupo fondale a valle. Come se la Natura volesse vendicarsi dei troppi oltraggi subiti.
A quei tempi, alludo ai primi anni settanta, avevo una buona opinione di me stesso. Intendo dire che mi consideravo un bravo pescatore, com’è per tutti i principianti e non solo. Ed è in questo modo, con questa mentalità intendo, che affrontavo il Nera. Il che voleva dire pescare da cani o poco ci manca, ma credere il contrario. Per di più, il fatto di sentirmi bravo nel lancio, mi portava ad attaccare quel fiume con un numero rilevante di manovre tutte diverse fra loro e più ne usavo e più mi sentivo bravo: altro atteggiamento peculiare dei mediocri. In quel periodo uno dei miei problemi era che fissavo la mia attenzione sulla coda. Mai che studiassi l’acqua. La guardavo ma non la “vedevo” Niente di più sterile. Ce ne volle prima di capire. Anzi prima di “vedere”, dunque “ragionare”. Nella pesca vedere vuol dire ragionare. E si ragiona con la testa. Gli occhi senza la mente sono ciechi. (brano estratto dal libro Anatomia di un fiume di R. Pragliola)
Ciò che c’è nel Nera non c’è (o quasi) negli altri corsi d’acqua. Nel Nera, invece, ci sono tutti gli altri fiumi.
I luoghi
Belli come la bellezza stessa
La località
Ambiente, acque limpide e silenzio. Interiorità. Non può esistere amore per la natura senza l’uno e l’altra. Un silenzio infranto solo dallo scorrere dell’acqua, che è anch’esso silenzio. Se è questo che cercate, questo fiume è il vostro fiume.
Il fiume
Dovremmo percorrere un fiume con lo stato d’animo, lo stupore e il candore con cui un bambino scopre la vita.
Se non avete mai pescato in questo fiume, non sapete cos’è la pesca. Se non lo avete mai percorso il vostro animo non sa cos’è la gioia.
Anche il disordine delle correnti ha una logica. In caos non è mai nei fatti ma nella mente di chi guarda. Fotografia di Marco Pippi.
La pesca
Nella pesca “guardare” vuol dire ragionare. Poco importa da quanti anni si pesca. Il “vuoto” della mente non lo si può riempire con il tempo passato su un fiume.
Fu meno di una scintilla. Più che vederla la percepii. L’acqua pareva una lastra di plumbeo metallo. Una trota aveva bollato, tranciandola. Lanciai l’artificiale come so fare. La trota salì, e non poteva fare diversamente. La ferrata schiantò l’aria. Subito dopo la superficie fu sconvolta e scaraventata verso l’alto. Seguì un sordo tonfo che scagliò schegge d’acqua ovunque. La canna emise risonanze che parevano gemiti di un moribondo. La coda era tesa come il vento che rade il ghiacciaio. Poi l’acqua si squarciò nuovamente facendo emergere dal fondale una grande ombra che si catapultò verso l’alto facendo fremere l’aria.
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Ad esclusione di quelle menzionate diversamente, tutte le rimanenti fotografie sono di Mauro Barbacci.