(di Roberto Pragliola)
Il torrente lo intravedevo a malapena in fondo alla gola: una strisciolina contorta e luccicante in mezzo ad un caos di rocce le une sopra le altre. Scendere fino laggiù pareva una follia, risalire un calvario. Come ci arrivai non lo ricordo.
Il fondale pareva di marmo, l’acqua era turchese, gli abeti verdi, le rocce aguzze. Montai canna, mulinello e ingrassai con cura una dozzina di metri di coda e gran parte del finale. Fu a quel punto che con la coda dell’occhio percepii un’alterazione nell’uniformità della superficie. Non vidi la bollata e nemmeno la udii. E neanche mi volsi per individuarla. Sapevo che una trota era salita a mangiare in superficie nella buca subito a monte e tanto mi bastava. Ora dovevo avvicinarmi senza farmi scorgere o udire. Valutai il terreno fra me e la buca, individuai il tragitto da fare e lo percorsi come un serpente a sonagli che sta per attaccare una preda ma ben più pericoloso.
Lo stivale destro entrò in acqua con la stessa fluida plasticità di quando una trota torna giù dopo aver bollato. Prima che lo stivale toccasse il fondo, flessi le ginocchia per ammortizzare l’impatto, le gambe si allargarono istintivamente per ottenere il migliore equilibrio. Non avevo bisogno di guardare il fondale per individuare come muovermi. Appena lo stivale sfiorava il fondo ne saggiava immediatamente la consistenza, aderendovi o scivolando oltre. Come trovai la posizione adatta, arcuai ancora di più il corpo, allargai maggiormente il compasso delle gambe, flessi in misura ancora maggiore le ginocchia.
Proprio in quel momento udii nuovamente il suono della bollata. La trota era salita e scesa con rapidità fulminea. Una saetta. Montai la mosca velocemente. Quando serrai il nodo all’occhiello dell’amo, il nylon emise un fruscio metallico simile a quando metti una pallottola in canna. Attaccai. La canna balenò nefasta al sole. La coda disegnò nell’aria una scia tesa come quella di un proiettile tracciante. L’artificiale parve sbocciare sull’acqua, tanto fulminea fu la sua apparizione. Per un attimo la mosca rimase immobile sinistramente ammaliante. Quando la trota si catapultò verso l’alto e la prese, ferrai premendo il dito indice sotto il calcio. La ferrata fece esplodere l’artificiale con un secco sibilo metallico il cui suono rimbalzò fra le pareti della gola in maniera sinistra. La trota sobbalzò, barcollò, per poi piegarsi su se stessa come schiantata. Ricadde giù con un tonfo sordo sollevando minuti spruzzi d’acqua come polvere nell’aria.