Il Fiume
di Vanni Marchioni
Silenzio.
Un timido chiarore. Un’alzataccia di domenica mattina per essere sul fiume alle prime avvisaglie del nuovo giorno, le meravigliose luci dell’alba. La stanchezza è subito dimenticata. Il bosco circostante si sveglia, con i suoi piccoli rumori indecifrabili. Il suono dell’acqua che scorre in sottofondo. E quella nebbia leggera, che annuncia il sole, si alza lentamente e scopre poco a poco l’attività dei pesci, nascosti dietro la foschia.
Che sorpresa continua e ripetibile, la natura. Esserne parte attiva e passiva allo stesso tempo, sentire il fresco e la tensione della corrente che preme sulle gambe, i primi passi incerti che cercano un appoggio stabile sul letto del torrente.
C’è tutto. Non manca niente, ripeto a me stesso. Eppure una sensazione senza ragione d’essere mi accompagna fin dal primo mattino. Forse un’atavica paura di “non essere abbastanza”, un’inspiegabile attesa di completezza che tarda a prendere possesso del mio io. Oddio, ma no, ma via, ma su, ma dai. Sono qui in mezzo al bello, col mio cappello, in mezzo al niente, in mezzo a tutto. Ho i miei pensieri e le mie mosche. Ah, il fiume, sono tormentato dal fiume. In fondo a questa valle, in fondo alla mia anima, in fondo al mondo.
Senza accendino.