Il pescatore completo
di Roberto Pragliola
Quante volte senti dire che la storia è maestra di vita. Mai sentita bischerata più grande. Nulla è più inutile del passato quando si tratta di non ripeterne gli errori. Casomai è il contrario. La storia è sempre stata una buona guida nel perseverare il peggio, com’è nella natura dell’uomo. Dopo aver vissuto la corsa a chi contribuiva di più, meglio e più velocemente ad uccidere un fiume, dopo aver assistito a tanti atti criminali accompagnati da canti e balli attorno alla bara del morto nella più lugubre e carnascialesca delle manifestazioni, mai mi sarei aspettato che proprio la mosca si accodasse a questo scempio. Avevo sempre pensato che diffondere la mosca equivalesse a migliorare la pesca. Esche naturali e spinning hanno fatto passi avanti, la mosca no. La mosca, fra tutte, è quella che ha stravolto maggiormente se stessa per giunta in peggio.
Il giorno agonizzava come l’ultimo dei dannati avvampando l’orizzonte di lampi rossastri: le irate grida della sua orrenda agonia. Ombre oscure scendevano come palpebre che stanno per chiudersi. Ben presto si sarebbero tramutate in tenebra. Man mano che il buio avanzava e il giorno stava morendo, in cielo le stelle risplendevano più fulgidamente. La morte del giorno pareva alimentare la loro stessa vita.
“Bel spettacolo, vero?” . Quell’uscita mi irritò. O era lui che mi irritava. “No, spietato. Nulla è più spietato della bellezza. E nulla eguaglia la bellezza della natura.“ Giorgio mi guardò stupito. “Ti sei fatto troppi aperitivi.” disse a sproposito. Rapito da quello spettacolo, chiuso in me stesso, sentivo Giorgio come un prete il peccato. Cercavo di proteggermi dalla sua presenza che mi impediva di far parte di quell’angosciante armonia, di quel grandioso “Requem” Mozartiano, che mi circondava e che lui non percepiva nella sua dimensione, ma lo banalizzava com’è per gli stupidi.
Ci eravamo incontrati in quella pensioncina per caso. Prima ancora dei saluti, mi disse che il giorno appresso sarebbe andato a pescare nel no-kill locale, zeppo di trote, manco a dirlo di grossa taglia, anche se affollato. Gli risposi che sarei andato per torrenti, in montagna con poche trote e per giunta di taglia modesta. Però in solitudine, come si addice a tutte le attività connesse con la natura.
Non batte ciglio. Ormai anche lui si era convertito al nuovo vangelo della mosca che ha tre soli comandamenti: tanti pesci, tutti grandi, poco importa come presi. E se ci va di mezzo il fiume pazienza. Anzi, chi se ne frega.
Un vangelo, quello del cosiddetto “pescatore completo” (sublime l’ipocrisia dietro cui costoro cercano di celare il loro animo di macellai), che ha trovato moltitudini di adepti come accade sempre in questo paese che da il meglio di se nel peggio. Un vangelo, dicevo, benedetto dalle riviste di settore (più sanguinolente di un film di D. Argento) e da coloro che sulle stesse scrivono di plastica, piombo e pesci fasulli: i sacerdoti degli Inferi. I danni arrecati da queste persone alla mente dei giovani sono esorbitanti. Ci vorranno generazioni per porvi rimedio e non è detto che ci si riesca. Nel frattempo fiumi e pesci saranno andati in malora nell’indifferenza generale: la vera natura di questo sgangherato paese.
La saletta di quella pensione era piccola. Al bancone del bar solo due persone del paese. Il nostro tavolo era proprio di fronte alla finestra. Giorgio nel frattempo era rimasto silente. Feci una pausa per finire l’aperitivo. Sorrise allusivo. Lasciai correre. Cercò di uscire dall’impaccio, barcamenandosi dietro un sorriso conciliante. Non gli e lo consentii. “Come ogni altra cosa, anche la pesca si può intendere in maniera differente. Ma non dipende da ciò che cerchi, ma di come sei, anche se la cosa è conseguente. Di come vivi ciò che ti circonda. Anzi come ti inserisci nel “tutto”, se mi comprendi. Però questo non è il tuo caso. Ecco perché il tuo approccio con il fiume è distruttivo. Proprio come quello di coloro che fanno gare di pesca. I peggiori. L’immagine della stupidità.
Voi cosiddetti pescatori completi siete gente che va su un fiume senza sapere cos’è un fiume. Parlate quando dovreste lasciarvi avvolgere dal silenzio. Divenire voi stessi silenzio e, ancora una volta, scommetto che non sai cosa intendo. Il fiume non vi suggerisce nulla, perché non avete nulla a che spartire con un fiume. Oggidì pescatori e fiume sono diventati due corpi estranei. Ostili. Addirittura nemici. Non a caso i fiumi sono ridotti a discariche ma a voi non interessa. Siete capaci di pescare anche in una fogna se ci sono grossi pesci. Meglio ancora se appena immessi. Più facili. Il degrado dell’ambiente è conseguente al vostro che è morale.
Il vostro mondo assomiglia sempre di più a quello delle curve sud di certi stadi. Siete gli ultras della mosca, il corrispondente di quelli del calcio. Non vedo molta differenza fra questi due mondi. Negli stadi spesso ci scappa il morto, nelle pesca il suo equivalente è l’ambiente. Certi comportamenticontaminano l’animo dei giovani, dunque ammazzano il futuro, il delitto più efferato. In questo contesto anche la vostra tanto sbandierata bravura, ammesso che le cose stiano effettivamente così, è come una coltellata ad un fanciullo. Nulla vale di per se, ma nel suo insieme. Almeno questo lo capisci? Volete catturare in qualsiasi situazione e a tutti i costi ricorrendo a qualsiasi esca, plastica compresa, piombo incluso.”
Come in una qualsiasi attività umana, voler vincere sempre e in ogni modo è una malattia. Siete malati. E pazienza. Ma fate anche di peggio: tentate far passare i vostri vizi per virtù. E il contrario lo sentite come un condizionamento alla propria libertà. Come no, la libertà di fare il proprio porco comodo. Bravi.”
“Sei il solito polemico, per giunta sbronzo.” Ora c’era dell’ostilità nella sua voce. Non gli detti tregua. “ Per come la vedo io vantarsi di una cosa del genere è insana vanagloria. Oltre una certa misura, la vanagloria è un sintomo di frustrazione. Una malattia molto di moda oggidì nella mosca. Ripeto: siete malati. Per me, per pescatore completo, intendo colui che è in armonia con la natura e non con il proprio ego. La pesca è composta da mille piaceri e voi l’avete ridotta ad uno solo: solo pesci, tanti pesci. E’ come guardare un quadro del Caravaggio in bianco e nero. Peggio, togliendogli la luce.” Cercò di rispondermi. Non gli e lo consentiti e me ne andai.
La mosca ha avuto personaggi sublimi, poetici, bellissimi. Questi sono gli uomini che l’hanno fatta grande e oggi stiamo distruggendo questa grandezza e non ne abbiamo il diritto. Gli uomini della odierna mosca sono squallidi. Mediocri. Alla cattura, comunque ottenuta, a questo che è il più moderno, barbaro e sgangherato degli Dei, hanno sacrificato tutto. Perfino la dignità. Non c’è più spazio per la poesia, per la bellezza, per un bel gesto tecnico da cui ricavarne un appagamento che non può essere misurato con la mole del pesce o con il numero (delle catture), gli unici metri con cui oggi è valutata un’uscita di pesca. Soprattutto non c’è più spazio per la bellezza. E allora non resta che la cattura. Grande. Sempre più grande. Enorme. Sbandierata ai quattro venti. Esibizione. Esternazione al posto dell’interiorità. Infine la cosiddetta capacità di cattura. Di saper prendere pesci. La peste di questi tempi, issata sulle Are più elevate. Incensata con i veleni più pacchiani. Osannata dai clamori più assordanti. Volgari. E la frettolosità, sua stretta parente. Quella frettolosità che chiude menti e cuore. Del tutto e subito. Del facile. Che ha divorato questo mondo con il furore di chi odia il bello. Più nulla è fatto per il piacere e l’orgoglio di fare una cosa bella e basta, per quei piaceri capaci di scaldarti il cuore. Ma vallo a farlo capire a certa gente. Nessun ragionamento per quanto ineccepibile può rendere tondo chi ha la testa quadrata. Impossibile parlare con l’ignoranza.