capitolo primo
IDRAULICA FLUVIALE: qualche concetto che può essere utile . . .
“se ti addiviene di trattare dell’acqua, consulta prima l’esperienza e poi la ragione “ (Leonardo da Vinci)
Per quanto condivida appieno il famoso aforisma di Leonardo da Vinci, credo che anche ai più “esperienti” pescatori possa risultare utile quale concetto legato all’idraulica fluviale. Anzitutto, di che cosa stiamo parlando? L’idraulica fluviale è la scienza che studia il moto delle correnti a pelo libero in alvei naturali e l’evoluzione morfologica degli alvei stessi. Inutile dire che su di essa sono stati scritti, per l’appunto, “fiumi” di pagine e di parole.
In questa rubrica abbiamo quindi intenzione di sottolineare i principi che possano essere utili al pescatore per migliorare il suo approccio di osservazione al fiume, effettuare la migliore analisi possibile, e scegliere la più adeguata azione di pesca risultante. D’altra parte, è pur vero che la conoscenza di qualche concetto e qualche formula – soprattutto legati al “capitolo” di idrodinamica – può essere di grande aiuto al lanciatore a mosca, che con il moto delle acque ha a che fare sia per quanto riguarda la previsione di dove possa trovarsi il pesce, che per quanto concerne l’azione meccanica di trascinamento che la corrente esercita sulla coda di topo una volta che questa si posa sulla superficie. Per questo motivo, in estrema sintesi, ritengo che possano essere utili i seguenti tre aspetti dell’idraulica che trovano un riscontro continuo e continuativo nell’ambiente fluviale.
- 1) Principio di “Leonardo e Castelli”: In una corrente continua in moto permanente la portata è costante in ogni sezione, ossia è costante il prodotto della velocità per l’area della sezione.
Ciò significa che all’aumentare dell’area della sezione del canale conduttore (o dell’alveo naturale) diminuisce la velocità della corrente e viceversa.
Figura 1. Il prodotto tra la velocità V1 e la sezione fluviale A1 è uguale al prodotto tra la velocità V2 e la sezione V2 – tratto da dispense di idrodinamica,
GESAAF – Università di Firenze
Questo principio enuncia la motivazione per cui la velocità della corrente diviene maggiore al restringimento tra due massi, in una zona di curva o dove si registra una diminuzione della profondità dell’alveo. Anche se apparentemente banale, a questo principio consegue un comportamento inevitabile del pesce: laddove la corrente aumenta (troppo) la sua velocità, diviene man mano insostenibile per le capacità natatorie del pesce (questo argomento potrà diventare un capitolo a sé, da sviluppare successivamente). Quindi a una certa morfologia dell’alveo – e delle correnti – conseguirà una certa risposta adattativa e comportamentale del pesce stesso: l’animale nuota infatti a velocità di “crociera” (che può mantenere per lunghe durate, da qualche minuto fino a diverse ore) che è ben diversa dalla velocità di “scatto” (che può mantenere per pochi secondi). Banalmente, se l’acqua corre troppo, il pesce in quella corrente non riesce a nuotare o può al massimo restare in posizione idrodinamica per poco, pochissimo tempo. Tanto per dare un riferimento, consideriamo che un pesce di medie dimensioni (tra i 25-40 cm) non riesce a mantenere che per pochi secondi una velocità controcorrente di oltre i 2m/s: in acque troppo veloci ci si può aspettare quindi un pesce in caccia, disposto al tutto per tutto, ad affrontare tale dispendio energetico per pochi istanti…difficilmente, pertanto, vi sarà un animale in stazionamento, che deve essere “invogliato” all’abboccata e che nel frattempo esaurisce inesorabilmente le sue riserve energetiche. E se ci si chiede come poter misurare la velocità della corrente quando si è in pesca, esiste un metodo molto rudimentale, ma piuttosto attendibile: si getta nella corrente qualcosa di evidentemente galleggiante (un pezzo di legno, un tappo di sughero, delle foglie, ecc.) e si misura quanti secondi il natante impiega a percorrere una distanza più o meno nota: il rapporto spazio (in metri) diviso per il tempo impiegato (in secondi) fornisce la velocità della corrente superficiale: si possono fare quindi opportune valutazioni.
- 2) Il risalto idraulico o “salto di Bidone”: è un fenomeno idraulico che si manifesta quando, in un fluido, la corrente da veloce diviene bruscamente lenta, tramite un’improvvisa espansione del getto a monte. Parte dell’energia cinetica è convertita in energia potenziale, con un innalzamento improvviso della quota del pelo libero; parte viene invece dissipata sotto forma di calore, essenzialmente con generazione di vortici e turbolenze. Prende il nome dal prof. Giorgio Bidone (1781-1839) dell’Università di Torino che lo studiò.
Figura 2. La freccia blu indica il formarsi del risalto idraulico, quella bianca il moto dell’acqua che si richiude su se stessa tornando da valle verso monte
(foto Pini Prato, t.Lima)
In questo caso si cerchi di immaginare che cosa succede alla coda di topo se viene posata troppo vicina al “buco” che si crea quando l’acqua ricade su se stessa: viene spinta in profondità, e con essa la mosca galleggiante viene risucchiata verso il basso seguendo la coda, di fatto rendendo inutile l’azione di pesca. In questo caso è utile che la coda venga posata fuori dall’azione di “risucchio” dell’acqua, magari facendo in modo che la mosca cada ai suoi margini. Anche il terminale di nylon è opportuno che sia appoggiato fuori dall’azione di risucchio, ovviamente. Peraltro è difficile anche immaginare quello che farebbe il pesce, che si troverebbe tra una corrente che lo spinge verso la superficie e una verso il fondo dell’alveo…tutto possibile, teoricamente, ma non sono certo queste le condizioni migliori per cacciare in superficie.
Le ”zone di morta”: chiamate in inglese eddyline, sono quei punti del fiume ove l’acqua effettua un ricircolo con raggio più o meno ampio, dovuto all’attrito esercitato sulla corrente dalle scabrezze naturali del fiume come massi, vegetazione, ecc.
Figura 3. Zone di morta dietro a un masso e una sponda (da http://midcurrent.com/techniques/a-mending-primer/)
Dietro a un masso, a un ostacolo generico, una sponda, sarà molto probabile che stazionino pesci che hanno la possibilità, stando in corrente semi-ferma, di studiare bene ciò che casca in acqua e quindi potenzialmente più sospettosi rispetto a un predatore affamato che va a bollare in un’impetuosa corrente. In queste zone il lancio deve essere particolarmente curato, perché in tali aree del fiume, quasi di riposo, il pesce ha tutto il tempo – anche troppo – di valutare il da farsi. Inoltre nelle “morte” l’acqua tende a tornare verso monte, controcorrente, quindi laddove cade la coda di topo si dovrà tener conto dell’effetto conseguente ed utilizzarlo a proprio vantaggio ricordando questo comportamento bizzarro della corrente; si consideri infine che in una “morta” il pesce potrebbe avere il muso rivolto verso valle, oppure perpendicolarmente alla sponda, anziché verso monte come ci aspetteremmo; tutto dipende da che parte arriva la corrente che gli apporta cibo.
Con queste poche informazioni si potrà lanciare avendo una più esatta cognizione del comportamento dell’acqua, e conseguentemente ci si attenderà dalla coda di topo che si appoggia sulla superficie una certa risposta. Il fiume va visto come un mosaico dinamico di zone d’acqua, un patchwork tridimensionale, in cui tutto quello che avviene a valle e a monte è strettamente interconnesso, così come ciò che avviene in superficie dipende da ciò che accade sul fondo. Morfologia e pendenza d’alveo, quantità d’acqua defluente e sua velocità sono tre elementi strettamente correlati, dai quali dipende la “vivibilità” di un fiume da parte delle differenti specie ittiche che lo popolano: alcune di esse si sono adattate a vivere in acque ferme e stagnanti su fondali melmosi, altre sopravvivono per la maggior parte della loro vita tra correnti impetuose. La vita si è evoluta per adattarsi ovunque e quasi nessun ambiente è veramente inospitale. Quasi dappertutto ci può essere un pesce pronto ad abboccare. La vera difficoltà sta nel capire come presentare la mosca nel modo più corretto possibile, nel posto giusto e al momento giusto.
Enrico Pini Prato
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