I NUOVI BARBARI
di Roberto Pragliola
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Il vecchio parcheggiò l’auto vicino ai due bidoni delle immondizie. Guardò con un sorriso nel cuore il fiume di fronte a lui. Poi montò la canna, ingrassò parte della coda e del finale, indossò il gilet e gli stivali a coscia perché i livelli erano piuttosto bassi, quelli che preferiva. Mentre si faceva un panino, continuava ad osservare l’acqua dell’Unec ammiccare al sole. Finito di mangiare gettò la stagnola in cui era avvolto il panino e la lattina di birra in uno dei due bidoni. Nonostante avesse visto qualche bollata nella lunga piana a monte, si diresse a valle.
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Percorse un lungo tratto. Nessun pescatore in vista. Ciò nonostante volle andare ancora oltre violentando le sue ossa stanche. Ogni passo aggiungeva qualcosa al suo stato d’animo. Adocchiato alfine un buon posto, s’inoltrò in acqua con cautela. I suoi piedi accarezzavano il fondo come la brezza il suo volto. Entrare in acqua con noncuranza, peggio ancora con irruenza, prima ancora di un atto stupido, è violentare un mondo ove regna il silenzio. Non solo la pesca è silenzio, ma senza silenzio non può esserci intimità con quanto ci circonda, si disse.
Trovata la posizione giusta in acqua, si accese un mezzo toscano al posto della solita sigaretta. La giornata era soleggiata. Il fiume placido. Il vento faceva brillare le foglie degli alberi e fremere l’erba. Di tanto in tanto una bollata. Posava la mosca in acqua, la lasciava scorrere lungo il filo di corrente, la recuperava. Il fluire dell’acqua gli riempiva il cuore. Il sole gli scaldava le ossa. Il silenzio gli esaltava l’animo.
I quattro giovanastri erano eccitati dentro il loro grosso fuoristrada. Di un’allegria vociante e sguaiata. L’auto arrivò nello spazio adibito al posteggio. Guardarono con sospetto la macchina del vecchio. Il guidatore spense il motore, ma gli altri si opposero. Perché farsi tutto quel tragitto a piedi? Qualcuno obbiettò che il proprietario del terreno non voleva auto scorazzanti per il prato. Sghignazzarono, dandogli del fesso. Il fuoristrada si diresse a valle zigzagando per il prato, giusto per giustificarne l’uso altrimenti improbabile. Ogni tanto si fermava, i ragazzotti davano un’occhiata all’acqua, e se in quei brevi istanti non scorgevano una bollata, via di nuovo rombando. Finché arrivarono al luogo dove il vecchio stava pescando. Concordarono che il posto era meraviglioso. Scesero vociando. A quel punto si accorsero del vecchio. Imprecarono. Proprio in quell’istante un temolo sali a galla. Un balenio rosa squarciò la superficie. Era un gran bel pesce.
Il vecchio non aveva sentito l’auto, complice anche l’udito, debole alla sua età. E nemmeno l’aveva vista. La vegetazione gli e la occultava. Ad un certo punto ebbe il sentore di qualche schiamazzo. Guardò verso riva ma non scorse nulla. Proprio in quel momento un balenio rosa squarciò la superficie. Era la stessa bollata vista dai giovanastri. Il vecchio localizzò il posto esatto in cui il pesce si era fatto vivo da alcune macchie scure del fondale. Decise di cambiare mosca. Quella che aveva sopra, improvvisamente, aveva smesso di interessare i pesci. Ne scelse un’altra. La montò con cura, ma proprio in quell’istante i quattro giovanastri gli rovinarono attorno fin quasi a circondarlo. Il vecchio li guardò severamente. Del tutto inutile. Recuperò la coda e se ne andò silenzioso.
Qualche giorno dopo i quattro giovanastri erano al loro Club attorniati da una ventina di persone. Uno di costoro si prese la briga di raccontare com’era andata la loro uscita sull’Unec. Disse di come avevano scorazzato allegramente per il prato alla faccia di quel scassacazzi del contadino, finché non erano giunti in un gran bel posto. Neanche a farlo apposta ci stava pescando un vecchio bacucco. Per sua disgrazia, ghignò il ragazzotto, proprio in quel momento un grosso temolo sale a prendere a galla. In men che non si dica, avevano montato canna e coda, calzato gli stivali ad ascelle e si erano precipitati in acqua fin quasi a circondare il poveraccio. I presenti trovarono la cosa divertente. Quando il giovanastro descrisse la faccia del vecchio appena li aveva visti, le risate si tramutarono in schiamazzi. Quel vecchiaccio, aggiunse divertito il narratore, in un baleno si era trovato circondato da code di topo che gli frullavano da tutte le parti come una mosca in una ragnatela. Aggiunse che il poveretto se n’era andato con la coda fra le gambe. E giù altre risate.
Il giorno dopo il vecchio parcheggiò l’auto nel solito posto. S’incamminò lungo il prato alla ricerca di un buon posto. Riconobbe immediatamente di essere giunto nel luogo da cui era stato costretto ad andarsene per via di quei giovanastri, dalle lattine di birra e cartacce sparpagliate attorno. Vide anche delle bollate. Lasciò correre, continuando a costeggiare il fiume. Improvvisamente, da dietro una curva, vide spuntare un grosso fuoristrada. Lo riconobbe. Era quello dei giovanastri del giorno precedente. L’auto si fermò. I quattro scesero e si affacciarono al fiume. Li udì strepitare che i temoli stavano bollando. Immediatamente si precipitarono nell’auto scaricando in gran fretta canne e stivali sempre schiamazzando.
Il vecchio se ne andò a valle alla ricerca di un posto silente. Lo trovò. La giornata era soleggiata. Il fiume placido. La natura meravigliosa. Di tanto in tanto una bollata. Posava la mosca in acqua, la lasciava scorrere lungo il filo di corrente, la recuperava. Il fluire dell’acqua gli riempiva il cuore. Il sole gli scaldava le ossa. Il silenzio gli esaltava l’animo. Ogni tanto una cattura. Non erano pesci enormi, ma che importava. Altri erano i suoi pensieri. Costringere un pesce a prendere qualcosa di estraneo al suo mondo, per meglio dire qualcosa di innaturale, per il vecchio equivaleva ad aver svelato un piccolo segreto della natura. Averne carpito un altro granello. Il vecchio non lo faceva per una questione di catture, non gli importava proprio nulla, ma perché sentiva che quella minuzia di conoscenza in più lo avrebbe avvicinato a quel pesce: una simbiosi che gli avrebbe consentito di far parte più intensamente del tutto. Ma solo il silenzio lo consente. Altrimenti è solo prendere pesci.
Nel Club stavano ancora sghignazzavano quando il narratore, con tono ammiccante, precisò che il bello doveva ancora venire. Raccontò che il giorno seguente si erano nuovamente imbattuti nel vecchiaccio. Appena li aveva scorti, il malcapitato, se n’era andato neanche avesse visto il diavolo. I presenti, pressati gli uni agli altri in quell’angusta stanzetta zeppa di foto di grossi pesci, i volti arrossati da qualche grappa di troppo, le fronti grondanti sudore dal caldo, scoppiarono in risate sgangherate. Infine il ragazzotto disse che avevano preso molti temoli, tutti molto grandi, alcuni addirittura enormi. E lo disse, come al solito, con fare chiassoso e vociante. Le sue parole furono ben presto sommerse da uno sconcio sbraitare.