Caro Presidente, cari pescatori del mosca Club di Treviso. Di questo scritto fatene l’uso che credete. Per esempio gettarlo nel cestino dopo averlo letto. Oppure prima di leggerlo, che forse è meglio. Probabilmente il cestino è il posto che si merita. Perché vi scrivo, allora? Per far felice il vostro vice presidente Umberto Benedetti che mi ha inferto la ferita più sanguinosa di questi ultimi tempi. Lo ha fatto con educazione, con un sorriso sulle labbra, come si addice alle persone per bene, però l’ha fatto.
Vedi, Umberto, c’è chi ha scritto che si nasce incendiari ma si muore pompieri. Ho sempre temuto questo fatto. E’ la prova che dietro certe ribellioni giovanili sovente non c’è la consapevolezza, ma solo la gioventù: quanto di peggio da giovani e quanto di più invidiato da vecchi. E tu, Umberto, dopo aver difeso spudoratamente la pesca (si fa per dire) con la ninfa, mi hai detto con le tue solite buone maniere che ti saresti aspettato da me fuoco e fiamme e invece mi sono limitato ad una pigolante risposta (e poi sarei io il provocatore). Detto diversamente sarei diventato un pompiere: la vecchiaia peggiore, la più nefasta. Una bella stilettata, non c’è che dire. Non diretta al cuore ma all’animo e alla mente, il che è anche peggio. Al punto che mi tocca darti ragione pubblicamente, e lo sa il cielo quanto mi costi. Però ti invito a riflettere su una cosa, e chissà se queste righe meritino il cestino e se sono diventato per davvero un pompiere.
Umberto, forse sono io che non riesco a stare al passo dei tempi, o forse sono i tempi che sono “di fuori”. In ogni caso c’è qualcosa che non va nel voler catturare a tutti i costi. E’ così che si comporta la maggioranza. E chi la pensa diversamente è un ingenuo. Anzi un poveretto. E’ allora dico: è consentito ad un poveretto sostenere che a lui pare che sia giunto il momento di dare la priorità al modo con cui si effettua una cattura, invece della cattura comunque ottenuta. A te la risposta, Umberto. Vediamo come te la cavi.
Non sono stato abbastanza chiaro? Me lo dicono tutti e da tanti di quegli anni che ormai mi ci sono affezionato. Al punto che se qualcuno un giorno mi dice il contrario, non è escluso che non lo insulti. E allora sappiate che non ho mai concepito la pesca in base al numero dei pesci. Non è vero, mento. Sappiate altresì che non intendo la pesca in funzione della taglia: tanti, grandi, panciuti, pesci. Mento spudoratamente una seconda volta. Mento, ma al tempo stesso dico la verità. E’ tutto vero o quasi se riferito a moltissimi anni addietro. Ma da quei giorni di tempo ne è trascorso. E allora chiedo: il tempo deve passare invano? Oppure deve servire a qualcosa? Per esempio per migliorarci. Anche nelle piccole cose. Perfino le più futili. E la pesca è una di queste. Ma se è così futile, perché allora la pieghiamo alle esigenze della nostra “pancia”? A te la risposta Umberto, e miauguro che sia altrettanto balbettante come la mia nei tuoi confronti. Così impari a impallinarmi in pubblico.
Forse sono io che non riesco a stare al passo dei tempi, dicevo, o forse sono i tempi che sono “di fuori”. Perché non credo che l’educazione (dei giovani in rapporto alla pesca, e chissà che il discorso non sia ben più ampio) consista nell’accontentare i loro istinti, ma piuttosto nel controllarli e nell’educarli. Non nell’essere inclini alla permissività, ma casomai all’austerità. Non cercare di accontentare la loro pancia ma educare la loro mente. A questi giovani vorrei dire: volete prendere pesci? Tanti pesci. Ebbene fatelo. Ma perché con la mosca. Forse ne ignorate lo spirito? Non conoscete le ragioni per cui si differenzia da tutte le altre esche? In due parole perché è la “Mosca”. Per dirla con Gianni Brera, di motivi ce ne sono millanta. Ve ne dico uno solamente: tutti gli altri sistemi di pesca, nessuno escluso, cercano di facilitare la cattura. Per la mosca è l’inverso. E’ questo il suo spirito: una filosofia non necessariamente circoscritta alla pesca, a ben vedere. E allora ripeto: ragazzi, per davvero volete prendere tanti pesci. E allora fatelo, visto che ci tenete così tanto. Ma perché volete farlo per forza con la mosca? Ci sono tante altre esche, perfino più redditizie, se ben ricordo. Usate quelle! Qualcuno può darmi una risposta convincente? Meglio se raziocinante. A proposito, Umberto, tu come li educhi i giovani che stanno per passare alla mosca. Quelli che vengono ai tuoi corsi, intendo.
Non ti basta ancora? Vuoi sapere come concepisce la pesca un vecchio pompiere? Uno “fuori” dai tempi, in due parole da rottamare. Te lo dico subito, e così colgo l’occasione per rispondere ad unainsidiosissima domanda fattami da una persona di cui ignoro il nome, con la quale, però, mi farebbe piacere un giorno scambiare due parole di fronte ad un bicchiere. Questa la domanda: “Pragliola, le piace di più la pesca o parlare di pesca?” Bellissima. Altra stilettata. Tanto di cappello. Siete una bella coppia di pugnalatori, non c’è che dire. Ma in che razza di Club sono capitato. Comunque sia ecco, la mia risposta.
I più grandi autori sono concordi nel dividere la vita di un pescatore in tre stadi. Primo quando si è principianti e il piacere è direttamente proporzionale al numero delle catture. Segue un momento in cui più che il numero è fondamentale la loro taglia, dunque pochi pesci ma grandi. Infine il terzo stadio, quando non interessa più il numero delle catture o la loro mole, ma la “difficoltà”; dunque meglio una sola cattura purché difficile. Quest’ultimo stadio è equiparato alla maturità, quasi il sigillo della vita di un pescatore. Condivido tutto, salvo il fatto che a mio parere esiste anche un quarto stadio, quello della “conoscenza”. Un momento della vita del pescatore, l’ultimo, dove più che il numero delle catture, più che la taglia, prima ancora delle difficoltà, prima di tutto insomma, c’è la “conoscenza”. Quando la scoperta di un dettaglio, poco importa se connesso alle acque, alla vita di un insetto, del pesce o altro, ti dona quelle gioie in precedenza dipendenti dal numero dei pesci, dalla loro taglia o addirittura dalla stessa difficoltà. Una concezione “diversa” della pesca. Più vicina alla Natura, dunque al modo di intendere la vita, piuttosto che l’altra che vede la pesca esclusivamente come un’attività ricreativa. E allora parlare della pesca, cioè condividere la conoscenza, anche ponendo qualche interrogativo, diviene un elemento importante, direi anche indispensabile per chi, come me, ha la presunzione, o l’illusione, di essere giunto al quarto stadio.
Non basta ancora? Non sono stato sufficientemente chiaro? E allora completo la mia visuale. Per giunta lo faccio estrapolando un brano dal mio prossimo libro. Il che vi autorizza (forza Umberto, non ti lasciare sfuggire l’occasione, infilza il coltello fino al manico) a darmi del bieco opportunista, visto che, alla fine, dopo tante belle e (forse) nobili parole, ecco che sono scivolato sul piano più miserevole: farmi pubblicità. Siete autorizzati a pensarlo. O forse no. Ancora una volta a voi la risposta. Ecco il brano in questione. Il titolo è: “La Pesca”.
La bollata è improvvisa. C’è qualcosa che ti appartiene in quel movimento. E allora monti la canna, il mulinello e il finale. Poi scegli la mosca. Usi gli stessi gesti di sempre, provando le stesse sensazioni mai cancellate o scalfite dal tempo. I falsi lanci sono pochi, rapidi, sicuri. La mosca si posa come non può fare diversamente, percorre un breve tragitto in miracoloso equilibrio fra creste d’acqua irate, contorti turbinii, sciabolate di correnti spumeggianti. Quando la trota sale a prendere l’artificiale, la sua livrea colora acqua e aria. Sembra una variopinta scia, un esile filo teso fra terra e cielo. Non reciderlo. Fai in modo che la tua mosca sia anch’essa un granello di colore come tutto ciò che ti circonda. Diventa tu stesso un granello colorato dell’arcobaleno. Lascia che il tuo animo sia ancora in grado di meravigliarsi di un falco appeso al cielo, dell’incredibile vita esistente sotto una pietra del fiume, perché la divinità è il mondo, e perciò è divina la totalità delle cose.
Piccolo inciso: è implicito che questa è la “mia” visuale della pesca (ma non solo) e, di conseguenza, per molti aspetti, anche quella della tanto vituperata TLT, e chissà che non sia anche per questo motivo che questa tecnica viene fustigata con tanto astio. Lungi da me, quindi, darle un valore assoluto. Intendo dire estenderla ad altri, tantomeno a tutti. Mento nuovamente?
Comunque sia, a questa visuale cosa si contrappone. Vogliamo parlarne. Oppure dobbiamo solo e sempre discutere (anzi altercare) di lancio, disquisire (illudersi) sulle doti eccezionali di un determinato artificiale e dell’ultimo (inutile) modello di canna. A proposito: per usarlo dove, questo fantastico attrezzo, visto lo stato dei nostri fiumi. E prima ancora “come” adoperarlo. E’ l’equivalente di una bestemmia sostenere che un’uscita di pesca non è la ricerca disperata, dannata, di qualche trota comunque catturata? Che un fiume non è un percorso di guerra da percorrere con spietata ferocia ma al contrario con un sorriso sulle labbra e cuore leggero. Che una mosca non è una pallottola da scagliare sulla superficie con animo cupo, sguardo feroce, cuore avido. Rispetto ad una trentina d’anni addietro, oggi c’è molta più conoscenza tecnica e anche una maggiore bravura. Ma a cosa servono e dove portano entrambe se non sono sorrette dall’etica? Oppure contano solo le catture: tante, grosse catture comunque ottenute. E se ci va di mezzo il fiume, pazienza. Anzi, chi se ne frega.
Roberto Pragliola